ASSOCIAZIONE MARINARETTI E ALLIEVI CENTRO MARINARO "GIORGIO CINI" VENEZIA

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La Storia del CONTE VITTORIO CINI



Biografia
Nato a Ferrara il 20 febbraio 1885, Vittorio Cini si era formato all'etica del lavoro e dell'impresa prima collaborando con l'azienda paterna specializzata in opere di costruzioni e infrastrutture, poi avviando nei medesimi settori rilevanti iniziative durante il periodo della "grande guerra"
Conte Vittorio CiniConte Vittorio Cinipromuovendo inoltre società di navigazione, di armamento e di assicurazioni.
Trasferitosi a Venezia, dove acquistò il palazzo sul Canal Grande a San Vio, intrecciò un saldo legame con gli ambienti cittadini, primo fra tutti con Giuseppe Volpi, sviluppando interessi in imprese elettriche (Società "Cellina", SADE), del turismo d'élite (CIGA), di costruzioni (la società per le opere infrastrutturali di Marghera), di comunicazioni e di trasporti.
Nel 1918 sposò la grande attrice Lyda Borelli da cui ebbe quattro figli (Giorgio, Mynna, Ylda e Yana).
Tra le numerose cariche fu "Commissario straordinario" e poi Presidente della società siderurgica ILVA (dal 1921 al 1939), "fiduciario del governo" per il riassetto della struttura agraria del ferrarese (1927), senatore del Regno dal 1934 e, dal 1936, commissario generale dell'Ente esposizione universale di Roma (E42).
Si dissociò dal regime fascista nel giugno 1943, dopo essere stato per circa quattro mesi ministro delle comunicazioni, anticipando il pronunciamento del Gran Consiglio del 25 luglio e per questo fu catturato dopo l'8 settembre dai tedeschi e internato nel campo di concentramento di Dachau.
Liberato avventurosamente dopo parecchi mesi di prigionia, nel giugno 1944, dal figlio Giorgio, sostenne, anche con consistenti contributi finanziari, il movimento della Resistenza.
Il 31 agosto 1949, a soli 30 anni, Giorgio morì in un incidente di volo presso Cannes. Il padre in sua memoria istituì il 20 aprile 1951 la Fondazione che ne porta il nome, destinando ad essa e al restauro dell'Isola di San Giorgio Maggiore - ristrutturata a scopi culturali, sociali e formativi ed espositivi - un consistente patrimonio.
Vittorio Cini morì a Venezia il 18 settembre 1977 ed è sepolto alla Certosa di Ferrara.

La Storia del CONTE VITTORIO CINI

L' IMPRENDITORE
Completate le scuole secondarie a Venezia, nel 1903 si recò a St. Gallen, in Svizzera, per un soggiorno di studi commerciali presso l'Institut international Schmidt; da lì, l'anno seguente, passò a Londra, per svolgere attività di pratica bancaria.
Conte Vittorio CiniConte Vittorio CiniRitornato in Italia nel 1905, si inserì nell'impresa paterna, che era stata fondata nel 1885. Iniziò così una prima utile esperienza imprenditoriale in un'azienda specializzata in lavori di costruzioni infrastrutturali (stradali, ferroviari, fluviali, marittimi). Salito nel 1910 all'effettiva direzione della ditta, diede vita nello stesso tempo ad una società collegata (Ditta Vittorio Cini, con sede a Chioggia), con cui riuscì ad affermarsi in importanti concorsi e gare d'appalto.
Nel corso del 1918-1919 avviò, una fitta azione di smobilizzi e reinvestimenti, in seguito ai quali modificò completamente gli ambiti di iniziativa, corredandoli con un inscindibile apparato finanziario. Avendo già verificato con le prime esperienze imprenditoriali l'incidenza dei trasporti sull'aumento del volume di affari aziendale, Ciniprivilegiò gli interventi anzitutto nel settore marittimo-armatoriale. Promosse da un lato la fondazione di alcune società di navigazione, intraprese dall'altro l'ascesa al controllo amministrativo di altre società di navigazione e di assicurazione marittima. Dava avvio in tal modo ad un'attività finanziaria ed amministrativa, che si sarebbe completata a cavallo degli anni '20 e '30, abbracciando oltre alla marineria anche altri settori collegati, come la cantieristica e la navigazione interna. Il culmine sarebbe stato raggunto nel 1932, quando laCompagnia Adriatica di navigazione (con sede a Venezia), sorta dalla fusione di sei società di navigazione, sotto la sua presidenza assunse praticamente il controllo dei transiti nell'Adriatico e, attraverso questo, nel Mediterraneo orientale e nell'oriente in unione con altre società di navigazione collegate.
Con il decreto legge del 7 dic. 1936 l'I.R.I. intervenne nel campo marittimo mediante liquidazioni e concentramenti di società, ridefinizioni e raggruppamenti di servizi, gestione di una nuova finanziaria, la Finmare. Non per questo venne meno l'impegno di Vittorio Cini in seno alla marineria. Le sue iniziative dopo il 1919 sono difficilmente comprensibili se non vengono poste alla luce del suo ingresso nel «gruppo veneziano» che faceva capo aGiuseppe Volpi (da Cini più volte definito. «fraterno amico») e aveva caratterizzato fin dall'inizio le sue direttive con operazioni in cui lo Stato si presentava a garanzia e copertura di iniziative finanziarie private. I suoi rapporti col «gruppo veneziano» si intrecciarono in maniera decisiva dal 1920, quando assunse funzioni di responsabilità nella Società italiana costruzioni (Sitaco), che stava per procedere all'edificazione del quartiere urbano di Marghera annesso alla zona industriale, e nel Credito industriale (Credindustria). In nome e per conto del «gruppo veneziano» egli si inserì in molteplici settori, che manifestavano una forte capacità di partecipazioni incrociate: dagli insediamenti nella zona industriale di Marghera all'espansione dell'elettricità, dal controllo delle acque all'incremento tessile, dai trasporti alle comunicazioni radiotelefoniche, dalla siderurgia, metallurgia, meccanica al turismo. Si può misurare la portata di questa multiforme attività dall'inserimento di Vittorio Cini nella guida amministrativa e finanziaria di società come presidente o consigliere: nel 1930-1931 egli era presente in ventinove complessi.
Il prestigio ormai acquisito e l'allineamento nel «gruppo veneziano» gli valsero ad attrarre gli sguardi attenti degli ambienti economici e politici, tanto che nel 1921 venne nominato commissario straordinario dell'Ilva altiforni e acciaierie d'Italia, per procedere al risanamento del complesso siderurgico. Dopo poco più di un anno, la «nuova» Ilva poteva rilevare i suoi impianti. Nell'Ilva Cini continuò ad esercitare un ruolo di primo piano, tanto da succedere nel marzo 1935 a Sinigaglia nella presidenza della società, che tenne fino al 1939. Iscrittosi al Partito nazionale fascista nel 1926, godeva di notevole ascendente anche presso i vertici politici, tanto che lo stesso Mussolini nel settembre 1927 gli conferì l'incarico di «fiduciario del governo» per lo studio e le proposte di provvedimenti concernenti l'assetto politico, sociale, economico di un'area ancora spinosa per il regime fascista, la provincia di Ferrara. Fu nominato senatore per la XXI categoria (censo) il 23 gennaio del 1934.
Nell'ottobre 1936 si parlò di Cini come possibile successore di Beneduce alla presidenza dell'I.R.I. In quel periodo, invece, i contatti tra Mussolini e Cini riguardavano un'altra incombenza, la carica di commissario generale dell'Esposizione universale di Roma (E 42) prevista per il 1942. La nomina venne sanzionata il successivo 31 dicembre.
Gli anni della seconda guerra mondiale segnarono per Cini periodi di contraddizioni e di svolte decisive. Dopo essere stato insignito del titolo di conte di Monselice il 16 maggio 1940, egli si vide affidata la responsabilità di un ministero, quello delle Comunicazioni, nel rimpasto govemativo del 5 febbraio 1943.
Nel secondo dopoguerra Cini caratterizzò la sua attività con un rinnovato interessamento per la marineria, curando in particolare le iniziative della società Sidarma. Ma fu soprattutto l'industria elettrica ad impegnarlo, quale presidente della SADE. Nel periodo 1953-1962 la società portò a compimento un vasto programma di potenziamento degli insediamenti termo e idroelettrici nel Veneto e nel Friuli. La ripresa espansiva di questo settore era già stata avviata dal 1947-1948: negli anni '50 però si estendeva notevolmente il piano di ampliamento di centri di produzione, dalle centrali termoelettriche di Marghera, Fusina, Porto Corsini,Monfalcone, ai bacini idroelettrici del Cellina, Cordevole, Piave, Vajont. Ceduti gli impianti all'Ente nazionale per l'energia elettrica, in seguito alla legge 6 dic. 1962, la SADE decise, nell'agosto 1964, di confluire quale finanziaria nella società Montecatini (anticipando così la fusione in questa della Edison). Poteva così assumere più consistenza un progetto di insediamento di un centro siderurgico a ciclo integrale, che era stato previsto dalla SADE. L'insediamento di un centro siderurgico a Taranto, il disastro verificatosi nel bacino delVajont il 9 ottobre 1963 e l'alluvione che colpì anche Venezia il 4 novembre 1966 fecero definitivamente tramontare questo piano.

IL MECENATE


Il 20 aprile 1951 Vittorio Cini costituì la Fondazione Giorgio Cini in memoria del figlio morto in un incidente di volo.
Conte Vittorio CiniConte Vittorio CiniIl progetto di insediamento nell'isola di San Giorgio di un complesso culturale gli era stato suggerito dalla sensibilità di alcuni amici, tra i quali Nino Barbantini, che già si era fatto promotore nel 1935-1940 del ripristino del Castello di Monselice (donato poi alla Fondazione nel 1971) e che divenne il primo presidente della Fondazione stessa.
Cini portava così a compimento una passione che l'aveva sempre accompagnato e che si era concretizzata, oltre che nelle collezioni artistiche del suo palazzo veneziano e del castello ezzeliniano, in iniziative come quella attuata a Ferrara con la donazione del palazzo di Renata di Francia, 1942, al Comune per destinarlo "in perpetuo a scopi di educazione" (e in effetti sarà concesso in uso permanente all'Università di Ferrara) e quella della creazione dell'Istituto di Cultura "Casa Giorgio Cini", nella casa di famiglia in via Santo Stefano, donata ai gesuiti nel 1950.
La Fondazione assumeva per Vittorio Cini anche un significato di proposta culturale e politica per Venezia. Non a caso nel convegno dell'ottobre 1962 sul «problema di Venezia», organizzato a San Giorgio, Cini si faceva interprete di proposte di salvaguardia dell'«insularità» lagunare, stimolatrice di fermenti culturali, demandando invece alla terraferma il compito di vitalizzazione economica del centro storico. Venezia dunque isola culturale e dirigenziale, Marghera e Mestre forze di produzione e di servizi. In ciò egli si mostrava coerente con una visione di separazione delle competenze, che lo aveva sempre contraddistinto, e che era stata interrotta, come egli stesso riconosceva, da un solo «errore colossale», quello di aver favorito il ponte automobilistico translagunare inaugurato nell'aprile 1933.
Venezia fu pure in qualche modo segno del suo legame con la Chiesa cattolica, che si manifestò in vari aspetti: tra questi, la direzione della procuratoria di San Marco tra il 1955 e il 1967, durante la quale appoggiò importanti restauri nella basilica di San Marco, guidati da Ferdinando Forlati. In questi anni si instaurò un intenso rapporto con i pontefici Giovanni XXIII e Paolo VI.
A conferma del suo animo di mecenate “imprenditore”, Vittorio Cini, anche nell’ultimo periodo della sua vita, quando comperò una casa nella campagna vicino a Roma, S. Urbano alla Caffarella, nella zona archeologica dell’Appia Pignatelli, volle restaurare filologicamente un tempietto romano - più volte ritratto da paesaggisti del settecento - che si trovava nella proprietà ed era ridotto in condizioni cadenti.
Negli ultimi anni di vita ebbe numerose onorificenze, tra le quali il cavalierato del lavoro (4 giugno 1959), l'associazione all'Académie des beaux-arts de l'Institut de France (9 ottobre 1968), il conferimento del collare del Supremo Ordine della SS. Annunziata (11 marzo 1975).

IL COLLEZIONISTA


Federico Zeri descrive con pochi tratti efficaci la figura del “vero raccoglitore di pittura antica”: appartenente all’alta borghesia, colto ma rispettoso della scienza altrui, entusiasta e avveduto, si muove solo tra mercanti qualificati e quasi sempre con il sostegno di un esperto.
Conte Vittorio CiniConte Vittorio CiniLa collezione, poi, che a opere di nomi celebri affianca lavori di artisti non così famosi ma intriganti per motivi di attribuzione o d’iconografia, è considerata da Zeri la più interessante, sia per il collezionista stesso che per lo studioso invitato a condividere il godimento dell’opera d’arte e la discussione intorno ad essa. Ed è la raccolta di dipinti di Vittorio Cini, ospitata in ambienti ricchi di splendidi oggetti, che è sempre citata tra le poche vere collezioni di qualità costituitesi in Italia tra il 1950 e il 1970- dopo un periodo di “collezionismo zoppicante” - accanto a quella di Angelo Costa a Genova e di Luigi Magnani aParma.
È senza dubbio probante la testimonianza di quel penetrante e icastico caratterista che fu Federico Zeri anche se, ad onor del vero, Zeri era parte in causa quale principale consigliere di Cini, nell’ultimo ventennio della sua vita, dopo Nino Barbantini e Bernard Berenson.
Intravvediamo così i tratti salienti della personalità di Vittorio Cini: la cultura ampia e varia, il gusto sicuro, la curiosità per il bello in tutte le sue forme, la generosità nell’offrire agli altri il piacere di godere delle cose belle, vera munificenza di principe. Per cogliere tutta la ricchezza della sua personalità è opportuno collocare il Cini collezionista e mecenate nella sua vicenda biografica. Ha la vocazione dell’imprenditore e applica questa sua capacità all’intervento del mecenate.
La sua, probabilmente innata, sensibilità artistica e gusto del bello si palesarono sin dall’inizio, quando, poco più che ventenne tra il 1910-15, nella residenza di Ferrara iniziò il recupero della memoria figurativa della città natale con un primo nucleo di dipinti che esemplificavano la cultura artistica sviluppatasi nella capitale estense dal Rinascimento al ‘900, sino al contemporaneo Giovanni Boldini.
Da allora, nel corso dei decenni, l'interesse del raccoglitore si è ampliato notevolmente ed esteso anche alle arti minori e applicate, sempre tenendo presente nella scelta, la qualità delle singole opere e la possibilità del loro naturale inserimento in ambienti di vita. Senza seguire mode passeggere, né metodi storico-archeologici, la raccolta ha conservato cosí un inconfondibile sapore ‘domestico’, che si riflette nell’armonia e nella semplicità con cui le opere d’arte, molte delle quali catalogate ed entrate a far parte del patrimonio artistico nazionale, sono ospitate oggi nel Castello di Monselice, a San Vio e sull’isola di San Giorgio a Venezia, raccolte da considerare contestualmente per la loro genesi.
Era stato altamente significativo il rapporto del collezionista con l’esperto, in questo caso il critico d’arte Nino Barbantini incontrato nella comune città d’origine, Ferrara, nel 1934: era l’anno che seguiva la leggendaria mostra sull’arte estense del Quattrocento, voluta e organizzata dallo studioso a conclusione di un lungo periodo di riflessione teorica e di azione culturale in difesa del patrimonio storico-artistico della sua città. Ed è forse su questa stessa linea d’azione – valorizzare e recuperare i segni della cultura figurativa ferrarese – che si incontrano Cini e Barbantini.
Era una “nostalgia” che si modellava sul mito del Rinascimento estense; Barbantini sviluppa quest’idea del passato, sentito come presente da agire, perchè vitale, lungo due linee: quella teorica, con la formulazione critica di una scuola pittorica ferrarese che ha il suo centro nell’arte della corte umanistica – da Cosmè Tura a Dosso Dossi (e proprio nel 1941 Ciniinizia a costituire il nucleo forse di maggior prestigio della raccolta: le tavole dei maestri del Rinascimento ferrarese); e quella pratica, dove affronta il problema del recupero del monumento con la consapevolezza che si tratta del “frammento di un paesaggio simbolico”, qualcosa di più di una testimonianza storica da conservare secondo criteri scientifici.
Quando Vittorio Cini, nel 1935, affida a Barbantini – divenuto nel frattempo a Venezia museologo di rilievo (ebbe l’incarico di ordinare e sovrintendere la Galleria Internazionale di Ca' Pesaro, dal 1907) e attivissimo organizzatore culturale (collabora con la Fondazione Bevilacqua La Masa, l’Ateneo Veneto, la Biennale ed è direttore delle Belle Arti del Comune), - il restauro e la sistemazione del Castello di Monselice, è certo consapevole e compartecipe di queste idee-guida dell’amico e consigliere. Per Barbantini questa è l’occasione giusta (la seconda ‘chiamata’ sarà nel 1952 per il ripristino di San Giorgio) per realizzare un restauro vivo che rispetti tutte le strutture del monumento come si sono sovrapposte nel tempo, dall’età romanica al Settecento, e per creare gli ambienti di una dimora storica, medioevale e poi rinascimentale passando dagli usi militari a quelli residenziali. E negli interni monumentalì, così animati da scenografici effetti, hanno ricevuto felice ambientazione oggetti di grande interesse storico-artistico, assieme agli altri di semplice testimonianza di vita e di costume ed un'armeria. L’arredo e gli oggetti d’arte, numerosissimi, vengono scelti e acquistati presso i più famosi mercanti italiani (Contini Bonacossi, Accorsi, Sangiorgi, Jandolo, Barsanti, Barozzi, Carrer) per affinità cronologica e stilistica; disposti con gusto squisito, ricreano la scenografia degli interni: non un museo in stile ma una vera dimora antica, vissuta e accogliente. Molto spesso i mobili e i cassoni rinascimentali (toscani e veneti), le sculture, gli arazzi fiamminghi e i dipinti provengono da antiche collezioni veneziane; altre volte si ricerca a lungo ogni singolo pezzo per formare nuclei tipologicamente omogenei a testimonianza della qualità dell’arte veneta (le maioliche rinascimentali) o della storia del monumento e dei suoi committenti.
Il meccanismo si ripete, man mano che si completano i lavori di restauro sull’isola di San Giorgio e i locali devono essere arredati con intendimento sia estetico che funzionale. Le decine di sale della Fondazione sono “rivestite” da centinaia di tavoli, sedie, librerie, armadi, cassapanche, stigliature varie, salotti, lampadari, con numerosi pezzi di assoluto valore antiquario, molti provenienti proprio dal Castello di Monselice
La stessa sapiente ambientazione di splendidi oggetti negli spazi del vivere quotidiano, si ritrovava nella residenza veneziana che Cini aveva creato unendo i palazzi Loredan (che era stato del principe di Borbone), acquistato nel 1917, e Caldagno Valmarana: qui aveva disposto le sue collezioni personali e ogni stanza accoglieva i cassoni toscani e veronesi, i mobili del Cinquecento toscano e le lacche settecentesche, gli arazzi, i bronzi e gli argenti, le porcellane e le medaglie, mantenendo una funzionalità armoniosa e rivelando ad ogni angolo il gusto e la passione del collezionista entusiasta. Ma è soprattutto nella raccolta di pittura antica - ricordata più volte da Zeri nei suoi scritti - che si coglie quest’aspetto di amore ingordo, a largo raggio, unito a una conoscenza coltivata autonomamente e vivificata dai mille incontri con le personalità e gli studiosi più importanti del suo tempo oltre che dal colloquio continuo, a sollievo e arricchimento dello spirito, con le cose belle, le “cose importanti”.
Solo una parte minoritaria di queste ricchissime collezioni è oggi visibile grazie alla donazione di Palazzo Cini a San Vio da parte della figlia Yana e alla disponibilità di un’altra figlia, Ylda, per i dipinti ferraresi.

CULTURA GENERALE


La Fondazione Giorgio Cini fu istituita dal Conte Vittorio Cini, in ricordo del figlio Giorgio, con lo scopo di restaurare l'Isola diSan Giorgio Maggiore, gravemente degradata da quasi centocinquant'anni di occupazione militare.
Isola di San Giorgio MaggioreIsola di San Giorgio Maggiore
Inoltre volle reinserire l'Isola nella vita di Venezia e farne un centro internazionale di attività culturali.
La rilevanza dell'impresa, una delle maggiori (come iniziativa privata) del XX secolo, è testimoniata, oltre che dall'investimento iniziale per il restauro anche dalle manifestazioni promosse e ospitate e dal patrimonio, soprattutto artistico, che è conservato alla Fondazione sull'Isola e dal 1984 anche presso la Galleria di Palazzo Cini a San Vio. La Fondazione, oltre alle proprie attività di ricerca, mostre, spettacoli e concerti, accoglie congressi e convegni di qualificate organizzazioni scientifiche e culturali e iniziative nel campo dei rapporti internazionali (in primis i due incontri dei G7 svoltisi nel 1980 e nel 1987). Istituti e Centri di ricerca:
Ispirati agli Institutes for Advanced Studies di tradizione anglosassone, gli Istituti originariamente erano 4: Storia dell'Arte (dal 1954); Storia della Società e dello Stato veneziano (dal1955); Lettere, Musica e Teatro (dal 1957); Venezia e l'Oriente (dal 1958).
Costituiti per analizzare tutti gli aspetti della storia della civiltà veneziana, hanno fornito opportunità e mezzi a specialisti e studiosi, promuovendo iniziative e ricerche scientifiche organiche, talvolta in collaborazione con le più importanti istituzioni culturali internazionali.
Nel 1978, entra a far parte della Fondazione Cini l'Istituto Italiano Antonio Vivaldi.
Nel 1985 l'Istituto per la Musica si costituisce in forma autonoma da quello di Lettere.
Nel 1999, l'Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati si inserisce anche formalmente nella Fondazione.
Nel 2002, assume struttura autonoma l'Istituto Venezia e l'Europa, in precedenza sezione dell'Istituto Venezia e l'Oriente.
Nel 2003, nasce il Centro di ricerca sulle fonti documentali della vita musicale europea nell’intento di valorizzare maggiormente alcuni aspetti della ricerca che, da tempo, si andava sviluppando in seno all’Istituto per la Musica.
Nel 2007, nasce il Centro studi per la ricerca documentale sul teatro e il melodramma europeo. Nell'ambito della propria attività di ricerca, oltre alla redazione di regolari pubblicazioni periodiche, ciascun Istituto e Centro organizza e promuove mostre, convegni di studio e seminari.

La Storia del Conte VITTORIO CINI

CULTURA GENERALE parte IIª
Nell’anno 1950 il conte Cini donò la casa di via Santo StefanoVia Santo Stefano FERRARAVia Santo Stefano FERRARA
alla Provincia Romana della Compagnia di Gesù, affinché ne facesse un centro culturale e di formazione educativa e morale dei giovani, come recita l’epigrafe collocata in cima allo scalone d’onore:TargaTarga
“Questa Casa Giorgio Cini
dedicata alla cultura
e alla gioventù ferrarese
è vivente e operante testimonianza
di paterno e filiale amore”.
Le ragioni che portarono Cini a compiere questo atto di donazione sono legate sia a tragiche vicende della sua vita, sia a iniziative di personalità della città e della chiesa ferrarese.